How to be good: Harris e il moral enhancement
Proponiamo di seguito un estratto della tesi di Elena Abate: How to be good: Harris e il moral enhancement.
Il
moral
enhancement
nasce da scoperte neuroscientifiche riguardo al funzionamento e
all’influenza di sostanze chimiche ed ormoni in merito al
comportamento sociale. Il potenziamento morale ha come intento quello
di manipolare, grazie a farmaci specifici, i valori etici. Recenti
studi hanno mostrato che il comportamento di alcune sostanze chimiche
nel cervello ha un impatto su giudizi morali e comportamento.
Oltre
alla somministrazione di psicofarmaci, il moral
enhancement
include, nella sua strategia di successo, la modifica dell’ormone
proteico ossitocina,
l’elettrostimolazione dell’amigdala, la produzione di un
cromosoma artificiale che includa geni multipli che codifichino una
forte predisposizione ad una varietà di virtù morali.
Molti studi in ambito delle neuroscienze e di genetica
comportamentale [behavioural genetics] hanno rivelato un contributo
genetico legato a lati della personalità quali aggressione e
impulsività associato al polimorfismo del gene sul cromosoma X che
codifica la ricezione dell’enzima monoammino ossidasi A.
La
serotonina assume in questo contesto di ricerca importanza centrale:
questo mediatore chimico è un neuro modulatore che svolge azioni di
trasmissione di impulsi nervosi. Studi neuroscientifici hanno
avanzato l’ipotesi che essa contribuisca anche a formare valori
correlati al male [harm] e alla correttezza [fairness]. I medicinali
citati nel progetto di moral
enhancement
(vengono menzionati maggiormente nei testi Prozac e Citalopram) sono
inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) che
interagiscono con neurotrasmettitori.
I livelli di serotonina vengono
dunque correlati positivamente con tratti della personalità che
evitano il male [harm-avoidant] e negativamente con disordini
psichiatrici (depressione, ansia, disturbi ossessivi-compulsivi,
bulimia, ecc.) legati a anormalità serotoninergiche.
Alla luce dei progressi nelle neuroscienze non sembrerebbe dunque
irragionevole supporre che le tecnologie del moral
enhancement
possano riuscire a correggere tali difetti o mancanze legate
all’ambito morale.
I modelli di ricerca sono in cerca di relazioni
fra il funzionamento della serotonina e il comportamento pro-sociale
allo scopo di riuscire a compiere delle previsioni riguardanti come
la serotonina possa influenzare la computazione neuronale dei valori
in un contesto sociale. Le funzioni svolte da questo mediatore
chimico sono legate, in senso positivo, al comportamento pro-sociali
come la cura di sé, la cooperazione, l’affiliazione e, in senso
negativo, a comportamenti anti-sociali come l’aggressione e
l’isolamento.
Recenti studi basati su immagini neuronali hanno
dimostrato che il giudizio morale avverso al male [harm-averse
judgement] coinvolge regioni cerebrali connesse al processo emotivo.
La serotonina sembra dunque rivestire un ruolo chiave
nell’intersezione fra avversione e inibizione.
In condizioni di
normalità, la presenza di inibitori comportamentali può ridurre la
probabilità d’azione o rallentare il tempo di risposta.
L’influenza che essa ha dunque, negli aspetti basilari del processo
di avversione, potrebbe tradursi in effetti sul giudizio e
valutazione morale.
Potrebbe dunque potenziare le funzioni della
serotonina avere esiti migliori in ambito di giudizio morale?
Gli studi hanno mostrato che il valore del ruolo della serotonina non
è solamente collegato al potenziamento o all’inibizione del
processo in generale ma ha effetti che appaiono dipendere dal
contesto sociale. La serotonina sembra amplificare la
rappresentazione neurale delle preferenze sociali; una diminuzione
del tono serotoninergico (in concomitanza all’attivazione dello
striato dorsale nel telencefalo) sembra invece spostare il calcolo
neurale valoriale [neural value computation] verso l’egoismo e
preferenze sociali negative.
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