Il concetto di uomo e le implicazioni etiche nei Manoscritti del '44

Proponiamo di seguito l'Introduzione della tesi Il concetto di uomo e le implicazioni etiche nei Manoscritti del '44 di Lupo. Il testo completo lo trovate in pdf cliccando qui

Homo sum, humani nihil a me alienum puto
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.1 Esiste un’essenza umana?
La domanda sembra essere posta in senso assoluto, tale da trascendere il tempo e lo spazio. Se accettiamo la qualifica di Marx come «storicista assoluto» («L’immanentismo hegeliano diventa storicismo; ma è storicismo assoluto solo con la filosofia della prassi» A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Q 15, §61, p. 1826) allora la risposta è «No». Ogni carattere dell’umana storia è transeunte, è storicamente determinato. Non è possibile riscontrare nessuna fissità, nessuna eternità e l’essenza è, per definizione, qualcosa di eterno, fisso, immutabile.
Tuttavia, se è vero che il sapere è sempre sapere di qualcosa e se è vero che è possibile a condizione che la realtà non sia «una notte nella quale tutte le vacche sono nere» (Hegel) ogni ente si determina in relazione all’altro da sé. L’uomo, allora, si determinerà come ente collettivo, nella misura in cui si differenzia dal resto del reale.
.2 Ma come si costituisce questa “differenziazione”?
«L’animale ha una cerchia limitata di mezzi e modi dell’appagamento dei suoi bisogni in pari modo limitati. L’uomo dimostra anche in questa sua dipendenza in pari tempo il suo andare al di là della medesima e la sua universalità, dapprima attraverso la moltiplicazione dei bisogni e mezzi, e poi attraverso scomposizione e differenziazione del bisogno in singole parti e lati, che divengono diversi bisogni particolarizzati, quindi più astratti» (G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Edizioni Laterza, Roma-Bari 1987, p. 160). Il lavoro è la condizione di determinazione dell’uomo dalla natura, dal suo essere mero animale. Nel lavoro, inteso come attività produttiva, l’uomo si rispecchia (si pensi alla figura del servo-signore in Hegel).
.3 Il lavoro è la, o almeno partecipa dellaessenza umana. Questo è il punto di partenza da cui muove Marx. Ma non di un uomo ideale, che esiste solo nella testa dei filosofi, bensì dell’essere umano nella sua concretezza, nella sua storicità.
.4 La storicità dell’uomo impone un’analisi delle condizioni in cui produce e riproduce la sua esistenza. E quali sono oggi queste condizioni?
.5 Riprendendo il tema già rousseauiano e hegeliano dell’alienazione, Marx individua nell’alienazione la caratteristica principale della produzione e riproduzione dell’esistenza nel modo di produzione capitalistico.
.6 Tre sono nello specifico le forme riconosciute:
- Del lavoratore nei confronti del prodotto → è una conseguenza diretta dell’alienazione rispetto ai mezzi della produzione. «Questo fatto non esprime nient'altro che questo: che l'oggetto prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, che si è fatto oggettivo: è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare, nella condizione descritta dall'economia politica, come privazione dell'operaio, e l'oggettivazione appare come perdita e schiavitù dell'oggetto, e l'appropriazione come alienazione, come espropriazione».
- Del lavoratore rispetto agli altri lavoratori → è una condizione generale dell’individuo nel modo di produzione capitalistico: atomizzato, individualizzato, inconsapevole della sua socialità.
- Dell’individuo nei suoi due momenti: sociale e politico → si ricalca la divisione hegeliana tra Stato e società civile, mettendo al lavoro però le categorie di Rousseau (citoyen e bourgeois).
.7 Come uscire da questa situazione?
Una risposta “secca” a questa domanda è scontata, visto l’autore di cui stiamo parlando: la rivoluzione. Ma perché Marx risponde alle “scoperte” scientifiche, all’indagine della condizione dell’uomo nella società capitalistica con la prassi politica? Non possiamo che rimandare alle cosiddette Tesi su Feuerbach, scritte nello stesso periodo dell’Ideologia tedesca e dei Manoscritti (1845). Leggiamone un estratto:
II Tesi
«La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica».
VIII Tesi
«Tutta la vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che trascinano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e nella comprensione di questa prassi».
XI Tesi
«I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo».
La verità dell’indagine sta nella capacità di tradurla in una prassi coerente. Una prassi però che non prende le mosse né dalle fantasie di un pensatore fuori dal mondo che crea castelli in aria (II tesi) né da un cinismo da realpolitiker, bensì da una determinata lettura che si dà dei fenomeni sociali. Una lettura, il cui «punto di vista […] è la società umana o l’umanità sociale» (X Tesi).
.8 Che relazione ha tutto ciò con l’etica?
La rivoluzione diviene la condizione di possibilità di affermare di una umanità organica, unitaria, che superi le lacerazioni che la caratterizzano in una società capitalistica. Affermare, nella prassi, l’essenza umana significa affermare un certo punto di vista etico (quasi in senso hegeliano: di dovere consapevolmente accettato) sul mondo umano e sulle sue possibilità emancipatorie. Un approccio che può essere riassunto nella famosa massima di Terenzio da noi riportata in esergo: homo sum, humani nihil a me alienum puto.

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